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SIAMO QUELLO CHE MANGIAMO...

Mangiare è molto più di un istinto di sopravvivenza o la soddisfa­zione di una necessità biologica. È parte della cultura di un popolo, della sua strut­tura sociale e della sua storia. Soprat­tutto, è una sorta di presentazione di noi stessi. «Il nostro atteggiamento verso il cibo è importante perché mangiare è forse l'esperienza più coinvolgente della vita: il cibo si incorpo­ra, lo trasformiamo in una parte di noi stessi, e per questo diventa espressione del nostro rapporto con il corpo», spiega Massimo Montanari, docente di Sto­ria medievale e dell'alimentazione all'U­niversità di Bologna.

 

 La società at­tuale ha moltiplicato le tribù alimentari, dividendoci in onnivo­ri, vegetariani, vegani, pescetariani, ecc... Il motivo? «Più una società si libera dai morsi della fame, che hanno segnato per secoli la storia dell'alimentazione, più gli individui si sentono liberi di fare scelte. La novità è che non si tratta più di scelte elitarie, come accaduto in passato, ma di comportamenti che riguardano un ampio numero di persone», sottolinea Montanari.
Indagare sulle motivazioni alla base delle scelte alimentari di oggi è una questione sempre più complessa. L'indagine scientifica mette l'accento su genetica e psiche. Ricerche condotte sui neonati hanno messo in luce la preferen­za innata per i sapori dolci e il rifiuto di quelli aspri e amari, che ci tiene lontani da sostanze non commestibili e veleno­se. Una preferenza che rimane tutta la vita, e che rende difficile stare lontani da un cabaret di pasticcini. Gli psicologi inglesi Richard Shepherd e Paul Sparks hanno invece dimostrato che quando si mangia si utilizzano tutti i cinque sensi, scoprendo che, se vista, gusto e olfatto fanno la parte del leone nella scelta di un cibo, sono il tatto e l'udito a guidarci quando si tratta di scegliere tra una croc­cante mela o un cremoso yogurt.



TIPI DOLCI O SALATI. Ma è solo negli ul­timi anni che gli psicologi sociali hanno fatto del rapporto con il cibo materia di studio. Scoprendo fino a che punto crea­tività, intransigenza, aggressività, ansia, fiducia in noi stessi abbiano buone pro­babilità di rivelarsi a tavola. Alcuni esempi: i ricercatori della North Dakota State University e della Saint Xavier University di Chicago hanno dimostrato il legame scientifico tra i gusti e il carat­tere delle persone.

Dall'analisi dei risul­tati di test condotti su un campione di studenti universitari, hanno scoperto che la predilezione per i cibi dolci rispec­chia un carattere disponibile e collabo­rativo. Di più, esiste un "effetto bontà": chi mangia un pezzo di cioccolato è subi­to più disponibile a offrirsi come volon­tario per un lavoro non retribuito rispet­to a chi mangia un cibo salato.

Anche per Ferdinando Dogana, ordinario di Psico­logia all'Università Cattolica di Milano, la predilezione per dolce e salato ha un preciso collegamento caratteriale: i tipi "dolci", che vanno pazzi per pasticcini, torte e dessert, sono più emotivi e pro­pensi ad avere cura degli altri, i tipi "sa­lati", ghiotti di pasta, pizza e cracker, sono invece estroversi e indipendenti.

A TAVOLA CON FREUD. Secondo lo psi­cologo del cibo Leon Rappoport, docen­te alla Kansas University, le motivazioni alla base dei nostri acquisti al supermer­cato sono collegate alle teorie sulla strut­tura della personalità elaborate da Sigmund Freud. Di tipo freudiano sareb­be, per esempio, l'intima relazione esi­stente tra cibo, sesso e aggressività. Come il bimbo succhiando dal seno ma­terno sperimenta per la prima volta il piacere dei sensi, l'adulto trova soddisfa­zione in cene pantagrueliche.

Alcuni psi­cologi ritengono addirittura che il modo in cui le persone mangiano (voracemen­te o meno) sia un primo indizio di come fanno l'amore. Nessuno stupore che non siano rari coloro che mischiano i due pia­ceri, spalmando miele o panna montata sul corpo nudo del partner.

Anche l'ag­gressività si può esprimere a tavola: lo dimostra l'offesa provocata dal rifiuto all'offerta di cibo, o i casi in cui la rabbia di una adolescente nei confronti dei ge­nitori è espressa da abbuffate o digiuni. 

Più recentemente, la ricerca scientifica ha evidenziato anche altri aspetti dell'a­limentazione di cui siamo inconsapevo­li. Per esempio, la crescente tendenza a giudicare gli altri in base a ciò che man­giano. Uno studio pubblicato dagli psico­logi Usa Matthew Ruby e Steven Heine sulla rivista Appetite dimostra che le per­sone tendono a valutare chi consuma alimenti "buoni" (vegetariani o ipocalo­rici) più morali, intelligenti e attraenti; chi, invece, sceglie alimenti "cattivi" (ad alto contenuto di grassi o insalubri) immorali, meno intelligenti e poco attraenti.

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